Anno 2008
Durata 90
Origine FRANCIA, ITALIA
Genere DRAMMATICO
Tratto da liberamente tratto dal romanzo “Vista d’interni. Diario di carcere, di “scuri” e seghe, di trip e di sventure” di Antonio Perrone (ed. Manni, 2003)
Regia Lorenzo Conte e Davide Barletti (Fluid Video Crew)
Attori Claudio Santamaria (Antonio Perrone) Valentina Cervi (Daniela Perrone Daniele)
Soggetto Antonio Perrone (romanzo) Massimiliano Di Mino, Pierpaolo Di Mino, Marco Saura, Davide Barletti
Sceneggiatura Marco Saura, Pierpaolo Di Mino, Massimiliano Di Mino.
Fotografia Alberto Iannuzzi
Musiche Brutopop
Montaggio Roberto Missiroli Paolo Petrucci
Scenografia Sabrina Balestra
Costumi Allegra Mori Ubaldini, Fiamma Benvignati
Trama
Antonio Perrone è il rampollo di una famiglia benestante dell’Italia del Sud. Insieme alla moglie Daniela, il giovane sogna un’esistenza agiata. Per raggiungere il loro scopo, i due non esitano a darsi alla piccola criminalità. Con il passare degli anni però, le rapine e lo spaccio di droga non si rivelano sufficienti per la sete di potere di Antonio, che, quando si presenta l’occasione, non esita ad entrare nella Sacra Corona Unita. Tuttavia, l’abuso di droga lo porterà a pagare un caro prezzo alla giustizia e all’età di 49 anni Antonio viene arrestato per mafia e messo in isolamento.
Critica
“Tratto dal romanzo autobiografico di Antonio Perrone, il film lo ripercorre in flash back partendo dagli anni di prigione di massima sicurezza scoprendo a ritroso come, quanto, perché amici, parenti e società abbiano corrotto le radici morali. Il film di Barletti e Conte è veloce, ben fatto, si adagia sul classico gangster all’italiana, curioso nel raccontare la buona fede di un ignorante dall’ingombrante e delittuosa doppia vita. Cui il bravo Santamaria offre una espressiva assenza di espressività, affiancato da un’ispirata Valentina Cervi e da un clan di amici da retata all’alba in cui si riconoscono molti peccati attuali. Il vero peccato mortale narrativo è che si sta dalla parte del cattivo.” (Maurizio Porro, Corriere della Sera, 29 febbraio 2008)
Prodotto da Amedeo («Angelopoulos») Pagani, Fine pena mai – Paradiso perduto, diretto da metà «Fluid Video Crew», Davide Barletti e Lorenzo Conte, con Claudio Santamaria e Valentina Cervi, è un bel film d’amore malsano. Un «mistery dell’anima» secondo gli autori, capaci di passare dal fotoromanzo alla farsa alla folgorazione gestuale, in stile Bausch. È tratto da una storia vera (l’ascesa e la caduta della Sacra Corona Unita, una «mafia postmoderna») e dall’impressionante diario di un detenuto a essa affiliato, in isolamento totale dal ‘95 (Vista d’Interni, pubblicato da Manni), riconfigurati da una complessa e emozionante macchina visuale e da un amore-odio hawksiano per i personaggi e il paesaggio (fotografato «in trance» da Alberto Iannuzzi) che animano una specie di tragedia greca, anzi di tragicommedia «dionisiaca». All’inizio degli anni 80 un rampollo d’agiata borghesia che, come molti ricchi leccesi è abituato a vivere di rendita, sottoponendo i suoi consumi chic, di tanto in tanto, al brivido del gioco d’azzardo, lascia l’università no future e traduce lo slogan-ferrovecchio del 77 «vogliamo tutti tutto e subito» in un più berlusconiano: «possiamo avere tutto, almeno per noi soli». Invece del tavolo da poker dei vecchi zii, il ragazzo si apre al territorio, al crimine on the road: droga pesante, rapine, estorsioni, armi, usura e (ma non si vede) prostituzione. In 10 anni – il talento non è acqua- spalleggiato da un armadio brindisino davvero speciale (e da lui adorato), perfetta macchina leninista della violenza (non un secondo dopo, non un secondo prima) e tenendo sotto controllo l’ostilità palese-complicità incoscia della moglie, il terzetto – nonostante qualche incidente di percorso – scala il potere, mangiandosi sempre più Salento. Poi l’invadenza della camorra, della cupola brindisina Buccarella-Donatiello, degli albanesi, della polizia e della magistratura (in totale fuori campo, nel film) porteranno, dal maggio al novembre ‘95, tutti al Bobò. Condannato a 49 anni di carcere e al 41 bis, Antonio Perrone (Claudio Santamaria) ci racconta la sua storia in flashback, avventure, amori, la disco, le rapine, le auto, le amicizie perdute, l’eroina e le spaghettate fatali, gli assassinii cupi nelle cave di tufo…
Un Romanzo criminale riuscito, forse perché lo sguardo è più libero, l’atteggiamento meno giuridicamente corretto. Film senza orpelli, con commuovente grafica delle emozioni, due attori (Daniela, la pupa del bandito, che ha slittamenti progressivi verso la «zona scura» è una Valentina Cervi più inquietante del solito) che entrano in parte come Diabolik nella tuta nera, qualche scheggia lessicale impazzita (ma la cadenza leccese è maledettamente un po’ messinese/catanese). Però, visto che nei decenni non un solo sindaco o assessore brindisino è mai sfuggito all’arresto per contrabbando «di bionde» (e ieri è stato arrestato il vice capo della polizia penitenziaria di Lecce per traffico di droga), l’assenza totale di legami tra cosca e istituzioni nuoce molto al film. A meno che non si voglia dire, in metafora, che l’eroina liberalizzò il mercato e favorì il duopolio, e la «Sacra corona unita» fu una specie di tv locale (identici alla P2 i rituali massonici annessi?) fatta crescere e poi morire quando ormai inutile (mentre n’drangheta e camorra…). Insomma la «soggettività desiderante» di Antonio fu stritolata da chi quel «voglio tutto e subito per me» seppe articolarlo meglio, attraverso un totale rispetto per la Sacra Famiglia Dominante. (Roberto Silvestri, Il Manifesto, 29 febbraio 2008)